Scritture critiche: Sulla poesia di M. Calandrone. Il giardino della gioia e dintorni : Lo Stil Nuovo
Foto di Dino Ignani |
Per l’adeguata ricezione di un’opera, bisogna fare attenzione anzitutto alla sua cornice, quella che dà l'orientamento generale al lettore, rivelando il piano, il genere e l’intenzione implicita del testo. A partire dal titolo che qui, come abbiamo notato, suggerisce le implicazioni reciproche dei termini “giardino” e “gioia”. Ciò si precisa ulteriormente se solo si pensa alle connotazioni di chiusura, cura e protezione del primo termine e a quelle di esplosione subitanea, luminosa e incontrollata del secondo. E poi dall’esergo, scandito in versi, col suo pseudo sillogismo tra amore e politica: “siccome nasce/come poesia d'amore/questa poesia è politica”. In effetti questa poesia nasce nella sfera dell'amore e attraversa in corso d’opera quelle dell’etica e della politica, in quelle che già in precedenza ho definito le tre cantiche di una umanissima commedia. E si sviluppa secondo una traiettoria per certi versi analoga a quella dantesca, dallo stilnovismo giovanile all'epopea politico-culturale della Divina Commedia: una traiettoria problematica e decisiva per tutta la poesia europea che muove dalla sistemazione tomistica dell'aristotelismo eretico di Cavalcanti, di chiara impronta averroistica (e dunque con tracce surrettizie di platonismo), operata da Dante già ne La vita nova. Tale normalizzazione dell’amore disforico cantato dall’amico ruota attorno alla figura della donna amata, che in Cavalcanti era l'incarnazione del demone d'amore e che nella Vita Nova diviene angelo, messaggero, tramite della comunicazione del poeta con Dio. La rivoluzione dello Stil Novo rispetto ai Provenzali si incentrava infatti soprattutto sulla concezione dell'amore come dedizione (o dedica) senza attesa di ricompensa. Cioè sulla gratuità del servizio e su una metafisica del dono del tutto immanente a una situazione terrena, a un rapporto con una persona viva e concreta per quanto idealizzata. L’operazione compiuta da Dante nella Vita Nova, con la sua dedica a Cavalcanti e la sua focalizzazione su Beatrice appena morta, equivale a una bonifica dell’eresia d’amore dell’amico e letteralmente a una mortificazione della donna come altro da sé per farne tramite di una trascendenza, metafisica e religiosa, cioè del proprio rapporto con Dio, della propria fede rinnovata e dell'intera sintesi della visione del mondo medievale che avrà luogo poi nella Divina Commedia. Si trattò in quel caso di una transizione decisiva dalla poesia d'amore a quella politica e religiosa, e di una vera e propria conversione di sé e del proprio dire, analoga a quella di San Paolo sulla via di Damasco (e che sottende invero l’istituzione di ogni canone, norma o religio) che trasformò la parola d'amore agita dei Vangeli nella nuova legge dell'amore da contrapporre all'antica legge della retribuzione, contenuta nelle Sacre Scritture. Si trattò dunque di una normalizzazione vera e propria dell’evento della parola incarnata, dello stato di eccezione linguistico-esistenziale espresso dai vangeli.
Nella sua intenzione stilnovistica di chiarificazione progressiva del proprio dettato poetico, Calandrone compie un'operazione analoga ma speculare rispetto a quella di Dante, cioè una decostruzione laica del rapporto fra amore e politica, e una rifunzionalizzazione radicale del concetto dell'amore come principio di coesione cosmica, sociale e psichica. Cioè legge il dissesto geopolitico planetario attuale come effetto di una disfunzione dell’eros cosmico, quale era per esempio raffigurato nel Timeo di Platone. E dunque, nel portare a termine ora il suo “progetto stilnovistico”, iniziato almeno una decina di anni prima con La vita Chiara, nel ribadire cioè la sua adesione alla linea poetica europea del trobar leu, cui pure Dante appartiene, nel farsene una moderna paladina, ella nel contempo rovescia completamente il senso del viaggio dantesco, dalla Selva oscura alla Rosa dei beati, che era anche una progressiva immedesimazione dell’io poetico con l'idea del dio padre-padrone ebraico-cristiano, operandone invece la disseminazione nelle più infime forme di vita, nei più minuti frammenti di materia oscura, nel stesso travaso fra materia e luce, e nella costitutiva imperfezione dell'amore, in quanto principio cosmico che “muove il cielo e le altre stelle.” Alla luce dell'arditezza e dell'esplicita grandiosità di questo progetto, si possono dunque comprendere e valorizzare appieno quelle che altrimenti potrebbero anche apparire come pecche formali di questa sua ultima prova: la sua palese, insistita orchestrazione babelica, l’esibito cronachismo, la non sempre impeccabile transizione dal verso alla prosa e viceversa - insomma quella che si può leggere come una minore coesione strutturale rispetto alle due raccolte precedenti, nel cui disegno complessivo però si inserisce alla perfezione. Il giardino della gioia va appreso e valutato in quel disegno globale, nell’arco erotico-politico-cosmico sotteso alle tre cantiche. In tale prospettiva più ampia gli stessi “difetti” che ho detto si trasformano in pregi. Solo se si legge in filigrana, nella struttura dell'opera, il disegno audace, onesto e umanissimo che la sorregge, allora si può intendere la sua stessa problematicità tematico-strutturale come una sorta di parodia o controcanto della desertificazione del giardino del mondo nella presente epoca del disastro ambientale.
Tutto ciò per entrare un minimo nella specificità di quest'ultima raccolta, per coglierne le criticità e i criteri di composizione. L’alternativa sarebbe quella di affidarsi alle frasi di circostanza e praticarne l’elogio indifferenziato. Ma ripetere all'infinito che le parole chiave di quest’opera sono l’amore e la gioia, che la sua poesia è un inno alla compassione umana e magari una sua estensione cosmica, lascia il tempo che trova: appartiene a quell'impressionismo encomiastico e scontato che risulta sterile perfino nell'ambito di una recensione.
Bisogna invece anzitutto, come abbiamo detto, a partire dal titolo dell'opera, cercare di sviscerare le varie connotazioni dei suoi due termini, “giardino” e “gioia”, e la problematicità del genitivo (e della genesi occulta, ctonia) che li collega. E poi dall’esergo della prima sezione, con la sua equazione fra poesia d’amore e politica, che fa da prologo all’intera opera, dichiarandone le problematiche intenzioni di fondo. E insomma da tutto ciò che funge da cornice dell’opera vera e propria, collegandola col suo contesto culturale e con il resto della produzione dell'autrice. Ma sulla funzione della cornice e sul ruolo importante che vi giocano le date apposte ai singoli componimenti o sezioni, non insisterò più di tanto perché l’ho già fatto in un mio saggio precedente in cui fra l’altro prevedevo la nascita di questa terza cantica, a compimento di un disegno inizialmente abbozzato in Serie Fossile (G. Martella, “La serie e l’insieme. Nota sulla poetica di Maria Grazia Calandrone”, Poetarum Silva, 15.10.19. Questo saggio è stato pubblicato dopo l’uscita de Il giardino della Gioia solo per questioni editoriali. Ma era stato scritto un paio di mesi prima.). Avendone delineato l’impianto strutturale e individuato l’intenzione artistica che lo regge, procederò a seguire con una lettura per quanto possibile sintetica di questo testo corposo, eterogeneo e disorientante, il cui reale apprezzamento costituisce una autentica sfida per il lettore.
Giuseppe Martella
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Reviewed by Ilaria Cino
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gennaio 22, 2020
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