Scritture critiche su: Giovanna Bemporad, il poeta che a 15 anni tradusse l'Odissea
Giovanna
Bemporad nacque a Ferrara nel 1928. Studiò nel liceo Galvani di Bologna dove
ebbe occasione di conoscere Pier Paolo Pasolini, con il quale strinse una forte
e intensa amicizia. A quindici anni, con i soldi guadagnati con la traduzione
dell’Odissea, che fu preferita a quella di Quasimodo, decise di abbandonare la
famiglia con la quale era sempre stata in aperto contrasto, tanto da assumere
le vesti di una barbona scegliendo, in un’epoca in le donne erano spesso considerate
come ornamento della casa, se non come angeli del focolare, di andare in giro
senza scarpe, non occupandosi affatto dell’igiene personale ed utilizzando un
linguaggio da scaricatore di porto.
L’amicizia con Pasolini la portò a conoscere diversi partigiani. Lei, ragazza
ebrea che con lo pseudonimo di Giovanna Bembo scriveva sulla rivista “Setaccio”
fondata nel 1941 da Pier Paolo Pasolini, fu catturata dalle SS e stava per
essere fucilata quando iniziò a declamare, in tedesco, versi di Hoelderlin
gridando “Perché mi volete uccidere? Non si uccide la poesia”. Il plotone di esecuzione
si sciolse e lei venne rinchiusa nel carcere di Rovigo dove, pur ripetutamente interrogata,
rispondeva alle domande dei nazisti parlando di filosofia. Giudicandola forse
pazza, la liberarono. Dopo la guerra dimorò a Venezia dove dormiva all’aperto,
vivendo in estrema miseria. Nel 1948 fu pubblicato, a Venezia, il suo libro,
più volte ristampato ma che non ebbe mai una versione definitiva, “Esercizi”
che segnò anche una profonda crisi poetica tanto da farla rifugiare nella
traduzione dell’Odissea, sua altra opera incompiuta, che fu da lei considerata
come la poesia assoluta.
“Omero
è il punto d’arrivo della poesia occidentale. Il più grande di tutti. Tocca l’assoluto
con assoluta semplicità. Omero è come Mozart. E pensare che nelle scuole
l’hanno ridotto a un retore molesto. Quella di Omero – continua – è la poesia
più assoluta che esista nella cultura occidentale per chi, come me, ha potuto
leggerla nell’originale, senza i paludamenti delle traduzioni neoclassiche, e
recuperare l’Omero arcaico e barbarico che riproduce con serenità oggettiva
tutti i sentimenti dell’uomo e gli aspetti della realtà». L’incompiutezza
dei suoi lavori ha origine dalla volontà di perfezione a cui la sua parola
tendeva: la scelta dei vocaboli veniva fatta, nel caso dell’Odissea, non solo
come traduzione ma anche come individuazione del vocabolo più vicino, per
significato, all’originale badando però che esso, nel suo utilizzo, mantenesse
la capacità di essere compreso anche dalla platea dei contemporanei, a cui era
diretto: oltre a ciò, il non compiere definitivamente l’opera, rimandava a una
data incerta la conclusione della vita. Morì a Roma nel 2013.
In
riva al mare
Dalla mia fronte io esco in riva al mare
dove sommessa mormora i suoi baci
l’onda; e conchiglie, imbuti del rumore,
ci ascoltano pudiche e indifferenti.
Davanti a me si rinnova il suo gioco
di animale veloce che ai miei piedi
si stende per piacermi e mi incoraggia
con battiti di ciglia; anima preda
di polipi e di granchi io ti respingo,
votata al clima immobile degli astri.
Su me sospende il cielo la sua curva
larga, ariosa, e modella i miei passi
non di un’età, non di un attimo, un’ora
ma di un’antichità: parola estratta
dalla tua pausa, o mare, fronte colma.
*
La
ninfa e l’ermafrodito
Chiusi i suoi grandi occhi insufficienti
dove essenze d’aurora e d’ideale
galleggiano, ha disteso il fianco ambrato
tra pioppi ed olmi anelanti all’altezza
l’ermafrodito; ha disteso il suo corpo
sull’erba, vinto dal meriggio fulvo
che impone una consegna di silenzio
e una riserva d’ombra ad ogni fronda
sospesa al dolce incanto del suo sonno.
Sono strali nel fianco e nel mio cuore
le linee del suo corpo, chiare, lisce
fino ai capelli, attorti in arabeschi
simili a verdi draghi addormentati.
Forse il belletto aereo dell’aurora
ha tinto questa bocca, molle e gonfia
come un frutto dei tropici. Il suo riso
che ride alle ninfee mi intesse il velo
di una trapunta gelosia; mi apprendo
come un’ ape al suo labbro materiato
di piacere e di sonno; vi suggello
solitudini lunghe e incontri rari,
stagioni d’odio e d’amore, l’asprezza
della morte essenziale, e mi allontano
sull’ala ebbra e inquieta del pudore.
Giovanna Bemporad
(da Esercizi, Garzanti 1980)
Lavinia Frati
Lavinia Frati
Scritture critiche su: Giovanna Bemporad, il poeta che a 15 anni tradusse l'Odissea
Reviewed by Ilaria Cino
on
febbraio 13, 2018
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