Recensione del mese: Pomeriggi perduti - Michele Nigro
Se per orientarci
nella lettura di un’opera poetica ci avvalessimo di una tipizzazione cara alla Rosselli
delle varie tipologie di poeti allora collocheremmo Michele Nigro con i suoi
“Pomeriggi perduti” (Edizioni Kolibris, 2019) tra i poeti della ricerca, della
ricerca del “segno arcaico”, di quella difficile “Sincronia tra passi e cuore”
che ci danno l’idea dell’esperienza creativa. Ma cosa fa di una poesia una
poesia, ovvero qualcosa che non esprima unicamente la soggettività del momento
ma che abbia in sé la tensione all’universale, che porti dentro un segreto come
ci ricorda Ungaretti e prima ancora Leopardi? Ce lo rammenta l’autore nella bellissima
lirica “Le cose belle di sempre” dove memorie, tormenti, immagini, neologismi
vengono dissotterrati per divenire “sementi di futuro”, per confluire e formare
quel plurilinguismo che fa dello stile di Michele Nigro un tratto fresco e
inconfondibile: /E prima di partire faccio scorta di
immagini e di vento/ di stelle sorgenti/di colori e ronzii/nel silenzio
dell’angolo/riempire occhi e mente/con strade deserte/foglie
morenti/frutti appesi al tempo…/.
La raccolta si apre con un celebre verso di Withman ad indicarne il filo conduttore, il leitmotiv che si concretizza come “lenta risposta alla vita”: /Che sarei alla vita/se non avessi/un’intima voce, quella parola/scavata in cerca di/passaggi eterni/come sospiri tra i rumori?/. E’ presente in più liriche come in “Finirà” la volontà di voler testimoniare l’esperienza del mondo, i suoi riverberi nella storia privata, e tentare di colmare “le distanze tra la piccola storia e l’infinito”: /Questo fuoco finirà, la sua luce avvolta/dalle tenebre del tempo,/ non per volontà umana/. Finirà la storia/questa terra abusata/ la gloriosa specie,/finiranno/ i nostri anni insieme/ e finiremo noi/che agguantiamo il presente/di vita avidi/. Ma qual è la segreta aspirazione di una natura indomita come quella di Nigro, una “natura destinata a evadere” così come si racconta nella lirica “Dècadent”? Oltre allo sperimentalismo linguistico e alla ricerca dell’estetica, di una struttura formale e musicale che dia il senso del bello, semplicemente che “/ritrovando queste mie ossa/modellate a forma di penna/qualcuno possa dire/ le hanno amate/.
La raccolta si apre con un celebre verso di Withman ad indicarne il filo conduttore, il leitmotiv che si concretizza come “lenta risposta alla vita”: /Che sarei alla vita/se non avessi/un’intima voce, quella parola/scavata in cerca di/passaggi eterni/come sospiri tra i rumori?/. E’ presente in più liriche come in “Finirà” la volontà di voler testimoniare l’esperienza del mondo, i suoi riverberi nella storia privata, e tentare di colmare “le distanze tra la piccola storia e l’infinito”: /Questo fuoco finirà, la sua luce avvolta/dalle tenebre del tempo,/ non per volontà umana/. Finirà la storia/questa terra abusata/ la gloriosa specie,/finiranno/ i nostri anni insieme/ e finiremo noi/che agguantiamo il presente/di vita avidi/. Ma qual è la segreta aspirazione di una natura indomita come quella di Nigro, una “natura destinata a evadere” così come si racconta nella lirica “Dècadent”? Oltre allo sperimentalismo linguistico e alla ricerca dell’estetica, di una struttura formale e musicale che dia il senso del bello, semplicemente che “/ritrovando queste mie ossa/modellate a forma di penna/qualcuno possa dire/ le hanno amate/.
Ilaria Cino
Recensione del mese: Pomeriggi perduti - Michele Nigro
Reviewed by Ilaria Cino
on
luglio 09, 2019
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Una bella recensione: grazie Ilaria!
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