Intervista a Francesco Benozzo di Davide Morelli
Francesco Benozzo, poeta, musicista, filologo modenese, candidato da 5 anni al Premio Nobel per la Letteratura. Come poeta è noto soprattutto per la composizione orale di lunghi poemi epici (recentemente il critico spagnolo Lope Estrada lo ha definito “l’Omero della post-modernità”), tra i quali ricordiamo – tutti pubblicati dalle edizioni Kolibris di Ferrara – Onirico geologico (2014), Felci in Rivolta (2015), La capanna del naufrago (2017), Stóra Dímun. Poema camminato (2019) e Poema dal limite del mondo (2019). Nel 2002 è stato scelto per coordinare il primo workshop della Gran Bretagna di scrittura nei paesaggi al “Rich Text Literature Festival” di Cardiff, e successivamente è stato “poet in residence” al Wordsworth Trust del Lake District. La sua poesia Luna epiglaciale è stata inclusa nella nuova edizione dell’antologia di poeti del mondo World Poetry. An Anthology of Verse from Antiquity to Our time (W. W. Norton & Company, New York 2014). La notorietà che è seguita alla sua candidatura al Nobel lo ha visto esibirsi, tra il 2016 e il 2017, ad alcune importanti manifestazioni poetiche internazionali, quali “Ritratti di poesia” di Roma e il “Festival internazionale di poesia” di Genova. Nel 2017 è stato incluso nell’International Who’s Who in Poetry (Taylor & Francis, Londra 2017). Nel 2018 ha ricevuto una “honorary fellowship” dalla prestigiosa Poetry Foundation di Chicago.
Come musicista
ha all’attivo 11 album (arpa celtica, arpa bardica e canto), prodotti in
Italia, Gran Bretagna e Danimarca. È stato finalista alle Targhe Tenco, ha
vinto due volte il "Premio nazionale Giovanna Daffini" per la musica,
ha ottenuto una menzione speciale della critica ai Folk Awards di Edimburgo e
il bollino di Best World Roots Album assegnato dalla rivista statunitense
“RootsWorld”; si esibisce regolarmente in rilevanti festival musicali di World
Music italiani e stranieri (tra quelli recenti, il "Summartonar"
danese e il "Tradicionarius" catalano). Nel 2003 ha accompagnato all'arpa
il premio Nobel Wisława Szymborska nella sua prima apparizione italiana dopo
aver vinto il premio. Alla post-produzione del suo secondo album, inciso per
l’etichetta gallese Sain Records, ha partecipato anche John Cale. Nel 2018 è
stato protagonista di un tour internazionale in cui ha riproposto per arpa e
voce alcuni brani di David Bowie; il tour è stato inaugurato al Museo
Archeologico di Bologna il 10 gennaio, in occasione del secondo anniversario
della morte dell'artista britannico. Nel 2018 è stato insignito del titolo di
“Bardo Honorário” dalla Assembleia da Tradição Lusitana (Portogallo). Alcune sue canzoni compaiono in
compilation quali Sons de la Mediterranía
(SDM, Barcellona 2013) o Musiques du
monde: Italie (Harmonia Mundi, Parigi 2014). Docente di
filologia romanza all’Università di Bologna, è autore di oltre 600
pubblicazioni accademiche, dirige tre riviste internazionali di filologia
comparata e linguistica, coordina gruppi di ricerca internazionali – tra cui il
Progetto interuniversitario “IDA: Immagini e Deformazioni dell’Altro” delle
Università di Bologna, Istanbul (Turchia), Il Cairo (Egitto), Blida (Algeria),
Shahid Beheshti (Tehran) e Rabat (Marocco), il centro studi FIMIM / Filologia e
Medievistica Indo-Mediterranea dell’Università di Bologna, il progetto ALCAM -
Atlas Linguistique des Côtes Atlantiques et de la Manche” (Maison des Sciences
de l’Homme en Bretagne, Rennes), il workgroup del PCP / Paleolithic Continuity
Paradigm for the Origins Of Indo-European Languages – è il responsabile
scientifico di inchieste sul campo quali ATER / Archivio Toponomastico
Emiliano-Romagnolo (Istituto per i Beni Artistici e Culturali della Regione
Emilia-Romagna), fa parte del comitato di redazione di diverse riviste e
collane di letteratura, linguistica e filologia, è membro del gruppo di ricerca
“We Tell / Storytelling e impegno civico in epoca post-digitale” (Università di
Bologna), e del progetto Internazionale “Performigrations. People are the
Territory”, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programma EU
Cultura. Ha partecipato a oltre 120 convegni internazionali in qualità di
relatore, in molti dei quali ha tenuto le relazioni plenarie di apertura. Come
linguista è soprattutto noto per la sua rivoluzionaria teoria secondo la quale
il linguaggio umano nacque già 3 milioni di anni fa con l’Australopiteco, come
filologo per essere il creatore della disciplina nota come etnofilologia,
attenta alle attestazioni orali e ispirata a principi libertari e
anti-autoritari. Vive in una borgata sull’Appennino modenese.
***
Potrebbe spiegare in parole semplici la sua poetica?
Non credo di poterlo fare, no. Non tanto per dovere
usare parole semplici, dal momento che ritengo anzi che la mia poetica sia di
una semplicità quasi imbarazzante, ma per il fatto che quando in passato ho
scioccamente risposto a una simile domanda mi sono poi trovato ad accorgermi
poco dopo che non avevo parlato delle cose più importanti. E adesso farei lo
stesso, magari pensando di ricordarmi le cose importanti da dire. Insomma,
direi che sia meglio che io componga e scriva invece di commentare o
interpretare ciò che scrivo. Nei miei testi sono presenti d’altronde molte
dichiarazioni esplicite che potremmo definire relative a una poetica.
Lei è anche un cantautore. Che rapporto c'è secondo
lei tra poesia e canzone?
Un rapporto archetipico e inscindibile. Ciò che
chiamiamo poesia era all’origine canto, poi è avvenuta storicamente una
separazione. Leggiamo ancora i trovatori provenzali, cioè coloro che hanno
forgiato la letteratura occidentale, come se fossero dei poeti, quando altro
non erano che cantautori, i quali non componevano “poesie” ma cansos, cioè canzoni. E via via,
all’indietro, fino a Omero e anche prima. La poesia, anche quando appare
disgiunta dalla musica, è ancora nei casi migliori un residuo, una risacca, che
nasce dalle correnti profonde della musica.
Quali sono i suoi poeti preferiti?
Direi William Wordworth, Derek Walcott e Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi.
Per De André l'anarchia non doveva essere una presa di
posizione politica ma una categoria dello spirito. È d'accordo?
Sì, per quello che penso io l’anarchia è un modo di
guardare e di stare al mondo. Quando diventa appartenenza, circolo, lotta
esplicita al potere tradisce ciò che dovrebbe incarnare. L’anarchia è come l’acqua
dell’oceano del globo terracqueo. Vive in una sua dimensione primordiale e
pre-politica. Non è contro il potere, ma precede l’idea di potere, e quando lo
combatte viene risucchiata in una dimensione non propria, contaminante, da cui
può solo uscire sconfitta. L’immagine di anarchici che perdono tempo a lottare
contro il potere è per me simile a quella dell’acqua dell’oceano che perdesse
tempo a lottare contro i bastimenti.
Lei è un poeta lirico in un panorama poetico italico
ancora caratterizzato dagli eredi della neoavanguardia. Si è mai sentito una
mosca bianca? Si è mai sentito isolato?
Direi invece che sono un poeta epico, quindi ancora
più distante dalle neoavanguardie, e dalla poesia formale e formalistica degli
ultimi cent’anni. Isolato? È ciò a cui miro costantemente. Se non mi sentissi
isolato dovrei riflettere sul fatto che è accaduto qualcosa di grave e oscuro
dentro di me. Ma sarebbe già troppo tardi, immagino.
Per alcuni la poesia dovrebbe opporsi ai modelli
dominanti della civiltà consumistica. Secondo lei è realisticamente possibile
che avvenga?
Per quanto mi riguarda, nessun poeta dovrebbe mai avere
un rapporto dialettico con i modelli sociali in cui è immerso, siano essi dei
modelli dominanti o subalterni. E quindi non dovrebbe nemmeno occuparsi di
opporvisi o di appoggiarli. Mi sento molto distante da quegli scrittori e
quegli artisti che fondano la propria arte su questi ragionamenti.
Potrebbe spiegare in parole semplici la sua
definizione di poesia, ovvero che la poesia sia un "manifestarsi
sottraendosi"?
La poesia – anche per i suoi fruitori – deve diventare
sguardo, modo di sentire. Deve scomparire a vantaggio di ciò che si guarda. È
come una grammatica primordiale per tornare a percepire il mondo ribaltando i
nostri modi abitudinari di farlo. E, proprio come quando si apprende una
lingua, a un certo punto la grammatica deve scomparire, sottrarsi, diventando semplicemente
ciò a cui serviva, trasformandosi cioè nella capacità reale di parlare la
stessa lingua.
Che rapporto ha con le persone del "Francesco Benozzo fanclub"?
Grazie per questa domanda, mi aiuta a fare un po’ di
chiarezza. Esiste una mia fanpage su facebook, gestita da ormai una decina
d’anni da un mio ex studente, e che io non conosco quasi per niente (ho
scoperto solo di recente chi era a gestire quella pagina), avendo deciso per il
momento di restare fuori dai social, ma che so essere molto attiva per quanto
riguarda i miei concerti, le mie pubblicazioni o altro che mi riguardi, e che
se non sbaglio ha circa 16.000 followers. Ma il “Francesco Benozzo fanclub” è
un’altra cosa: è un gruppo di simpatici “ragazzi sulla quarantina” che fa capo
a un’antica trattoria appenninica non distante da dove vivo, sulle montagne
modenesi, con tanto di presidente (Denis Toni, che gestisce il locale insieme
alla sorella Katia), di tessere associative e di gadget (calendari, magliette e
cose di questo tipo), e il rapporto che ho con loro è quello molto sano che si
ha con persone che si incontrano all’osteria. Non c’è insomma alcun rapporto
tra il fanclub e la fanpage.
Per il grande critico Alfonso Berardinelli oggi i
poeti contemporanei sono illeggibili o banali. È d'accordo?
Si. Cambierei però la congiunzione disgiuntiva o con la semplice congiunzione e.
Secondo lei per gli aspiranti poeti italici vale la
pena partecipare a concorsi letterari in cui si paga la quota di iscrizione?
Con quei soldi non sarebbe meglio comprare un libro?
Penso che ci siano anche cose migliori di un libro che
si possono comprare con quei soldi. Coi prezzi medi che si spendono per
accedere ai concorsi poetici ci si possono bere grosso modo, ad esempio, dodici
pinte di guinness, oppure comprarsi in una cantina che lo produca una ventina
di bottiglie di lambrusco.
La sua è soprattutto una poesia del paesaggio. Per
alcuni tratta della relazione tra corpo e paesaggio. Potrebbe spiegarlo in
parole semplici a dei profani?
Dopo che ho pubblicato Onirico geologico (Kolibris, 2015), la poetessa Donatella Bisutti
ha scritto che il mio rapporto con gli elementi del paesaggio era una specie di
discesa/ascesa sciamanica in cui tutto il mio corpo era coinvolto. Penso che
volesse soprattutto cogliere la peculiarità di una poesia non fraintendibile
con una poesia bucolica o estetizzante. Perché, effettivamente, specialmente
quel poema era nato come esito di una settimana di scrittura trascorsa a stretto
e fisico contatto coi luoghi (dormivo sulle pietraie, camminavo scalzo sotto la
pioggia sul bordo di un ghiacciaio, e cose simili).
Quanto pensa che abbia aiutato la traduzione in
inglese delle sue opere per la diffusione della sua poesia?
Non sono in grado di valutarlo. Kolibris, la casa
editrice con cui pubblico, è d’altronde un piccolo editore, e la scelta della
lingua inglese a fronte penso che prescinda dal tentativo di raggiungere un
pubblico più vasto. Ha a che fare con le parole in dialogo, con la
traducibilità della poesia stessa. È un esperimento che moltiplica per così
dire il testo scritto.
Che rapporto ha con i poeti italiani contemporanei?
Più o meno lo stesso che ho con i traders di Piazza Affari a Milano o con i vertici della Federazione
Italiana Cricket: non so nemmeno chi siano.
Il poeta Valerio Magrelli in una intervista a Fabio
Fazio dichiarò che per essere letterati bisogna aver letto almeno ottomila
libri. Che cosa pensa a riguardo?
Penso che sia una stupidaggine, ma non mi meraviglia
affatto, dal momento che viene da uno scrittore che – sempre che io non lo
confonda con un altro – si è accanito pubblicamente contro il Nobel a Bob
Dylan, e che ha evidentemente una visione della letteratura come di un
fagocitante e sconcertante organismo di testi che dialogano con altri testi. Un
poeta che non sia un robot ha più bisogno di camminare che di leggere libri. O
in ogni caso di guardarsi intorno.
Lei di solito è contrario a pubblicare sulle riviste letterarie italiane.
Potrebbe dirci qualcosa di più in merito?
Verrei meno a quello che sento di essere e di fare
come poeta. Già ho dei dubbi sul fatto che sia possibile per il vento di una
scogliera che è magari finito in un poema passare per le forche caudine della
pagina scritta di un volume. Ma costringerlo a deformarsi dentro a un catalogo
commerciale mi parrebbe addirittura delirante. Sarebbe come adottare un
cucciolo d’orso e poi volerlo far vivere in un call center. Se questa immagine
è calzante, l’unica conclusione è che a quel punto sia forse meglio non
scrivere.
La poesia può ancora essere mitopoietica nelle società
tecnologicamente avanzate?
Grazie per questa domanda molto appropriata. Io credo
che la poesia possa esserlo soprattutto adesso, proprio nelle società
tecnologicamente avanzate. È infatti adesso, e in futuro lo sarà ancora di più,
quando si sarà spezzato per sempre il sia pur flebile legame di continuità con
i mondi, i volti e i luoghi pre-postmoderni di cui ancora abbiamo memoria, che
la poesia può e potrà esercitare la propria funzione archetipica di produrre immaginario
attraverso la mitopoiesi. Da quando siamo comparsi sul pianeta, non c’è mai
stato più bisogno di quanto ce ne sia oggi, dell’homo poeta, della nominazione poetica del mondo.
Che cosa ha in cantiere? Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Sto lavorando a un album per tastiere elettroniche e
voce e a un altro album per arpa celtica e bardica. A parte alcuni libri
accademici, dovrei poi rimettermi prima o poi su un progetto poetico intitolato
Corpoema, che avevo cominciato
qualche anno fa, nel quale la dimensione di corrispondenza corpo-paesaggio di
cui lei mi chiedeva si manifesta nella sua forma più esplicita.
Se
dovesse salvare un solo libro di poesia per i posteri quale salverebbe?
Il preludio di William Wordsworth.
Davide Morelli
Davide Morelli
Intervista a Francesco Benozzo di Davide Morelli
Reviewed by Ilaria Cino
on
luglio 10, 2019
Rating:
Lascia un commento