Scritture critiche: Jack kerouac e la Dorata Eternità.
Jack Kerouac ( 1922 – 1969 ), scrittore statunitense,
interruppe gli studi universitari, vagabondando negli Stati Uniti, esercitando
disparati mestieri. Intorno al 1950 si associò ai giovani della beat generation
di New York e San Francisco. Queste esperienze furono descritte nel romanzo
“Sulla strada” del 1957, che divenne per la generazione di Kerouac una sorta di
manifesto e fu forse la sua opera più riuscita, sia per la novità stilistica,
sia per i suggestivi legami col ricorrente mito americano del viaggio. Tutti i
romanzi successivi di Kerouac ebbero un
carattere obbligatoriamente autobiografico. “ I sotterranei “, del 1958
descrivono la sua vita beata a San Francisco, mentre "I vagabondi del Dharma" rivelò
l’interesse di Kerouac per le filosofie orientali e con “ Big Sur”, lo scrittore
americano si sforzò di riscrivere le sue esperienze ormai cristallizzate. E con
l’ultimo romanzo: “Vanità di Dulouz”, Kerouac si ridusse a divenire epigono sentimentale di se stesso. Ma dopo questi brevi
cenni biografici, il mio intento è quello di porre l’attenzione sul rapporto di
Kerouac e il Vuoto, che sono contenuti nel suo testo dal titolo:” Il sogno vuoto
dell’universo.” C’è da precisare che Kerouac si avvicinò allo studio della religione
buddista nel 1954 forse come mezzo per sfuggire al dolore dell’esistenza e fece
sua la concezione del Vuoto, come unica realtà. “Perché nessuno di noi vuole
pensare che l’universo sia un sogno vuoto, dovuto alla nostra mente, vogliamo
delle convenzioni, molti nomi, vogliamo elenchi di leggi e una certa sdegnosa
distanza dal PUHA senza volto del vero cielo, ora vedo uomini che se ne stanno
in piedi in campi deserti ad agitare zelantemente per spiegare, ma non sono
altro che fantasmi, meri ed insignificanti fantasmi.” Ma oltre a corteggiare il
Vuoto, Kerouac prese le distanze anche da una concezione dell’ego e dell’anima
immortale. Nella lettera a Carolyn Cassady del 17 maggio 1954, Kerouac scrisse: “...Con quale materia ti prego un’entità può perdurare; qual è questa sostanza
fondamentale, permanente ed indistruttibile e quella quiddità della sostanza di
cui è composto ciò che chiamiamo anima? Se non semplicemente il tremendo
attaccamento alla propria personalità dell’ego.... i buddisti sono un
anatman, non credono in un’essenza dell’anima che esiste nel presente, o che
possa perdurare così. Guarda l’albero fuori dalla finestra; esiste perché è un
sogno; né è né non è; non partecipa di nessuna realtà; la luna che risplende sul lago rugiada
evanescente, un lampo un’ombra (come il passato, come il futuro), una bolla
di sapone. L’eternità è un sogno, il presente è un sogno: te lo senti nelle
ossa. Nulla è reale, eppure nessun concetto, come quel nulla è reale, è reale e
non reale; nessun concetto arbitrario di ciò che è, o non è, possiede alcuna
vitalità, in un mondo che è sogno. Quando muori la tua coscienza cessa di
partecipare al sogno, il corpo cade addormentato; la Mente Essenziale, che sta sotto la
coscienza, è ciò che ti fa capire che sei morto e come ogni cosa, allora
tornerai al Tutto, la sensazione sarà.
Non capivo di avere un Io, ma semplicemente partecipo della natura di tutte le
cose, che è un sogno.” Ma dal momento che la vita è un sogno, come ci si può
attaccare ad essa? La ricerca verso il Vuoto e la conseguente illuminazione fu
a quel punto cruciale per Keoruac, che si dedicò alla meditazione, come via
privilegiata per raggiungere il satori. In una sua poesia dal titolo: “ Come
meditare” egli descrisse un metodo poetico di meditazione.
Luci spente
Autunno, mani strette in istantanea
estasi come una pera di eroina e morfina,
la ghianda del mio cervello secernente
il buon fluido felice ( Fluido Santo ) allorchè
mi abbasso e tengo ogni parte del corpo
giù in trance da punto morto – sanando
ogni mio male – tutto cancellando –neppure
resta il brandello di uno spero che tu o una
bolla di pazzia, ma la mente
libera spensierata.
Quando arriva un pensiero spuntando da lontano
con la sua esibita figura d’immagine, lo freghi,
lo sfreghi via, lo smonti e si fa smunto
e il pensiero non viene
e con gioia comprendi per la prima volta
pensare è come non pensare
perciò non devo pensare più.
E sebbene l’autore si dedicò alla meditazione e tentò di
coltivare un isolamento ascetico, lontano dal sesso e dalle droghe e
dall’alcol, il suo tentativo di meditazione falli, ma alla fine comprese che la
massima conoscenza raggiungibile è il Nulla, ossia la Dorata Eternità, di cui
lui ebbe esperienza diretta, abbastanza insolita, che riporto:
“Stavo sentendo il profumo dei fiori in cortile, e mi tirai
su e feci un respiro profondo e il sangue mi affluì tutto al cervello, e mi
svegliai morto supino tra l’erba. A
quanto pare svenni, o morii per una sessantina di secondi. Il mio vicino mi vide ma credete che mi fossi semplicemente
buttato nell’erba a godermi il sole. In quel momento atemporale di incoscienza
vidi la Dorata Eternità. Vidi il Paradiso.”
Il Nulla, fu la dimensione ricercata da Kerouac, come antidoto ad
una vita banale, che la droga e il sesso
non riusciva ad arginare e
potremmo concludere che tutta la sua fisiologia occulta, di un corpo ormai
distrutto dalla cirrosi lo consegnò all'insondabile Abisso.
Francesco Innella
Scritture critiche: Jack kerouac e la Dorata Eternità.
Reviewed by Ilaria Cino
on
giugno 17, 2019
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