Una inedita Giovanna Rosadini. La poetessa intervistata a trecentosessanta gradi da Davide Morelli

Foto di Dino Ignani. Diritti riservati
Nata a Genova nel 1963, si è laureata in Lingue e Letterature Orientali all’Università di Ca’ Foscari, a Venezia.  Ha lavorato per la casa editrice Einaudi, come redattrice ed editor di poesia, fino al 2004, anno in cui è uscito, per lo stesso editore, Clinica dell’abbandono di Alda Merini,  da lei curato. Ha pubblicato la raccolta Il sistema limbico per le Edizioni di Atelier nel 2008, e altri testi poetici in riviste e antologie collettive. Nel 2010 è uscito Unità di risveglio, per la Collezione di Poesia Einaudi. Per lo stesso editore ha curato Nuovi poeti italiani 6, antologia di voci poetiche femminili che ha suscitato un vivace dibattito e una larga eco, uscita nel 2012. La sua terza raccolta poetica, il numero completo dei giorni, è stata pubblicata da Nino Aragno editore nel 2014. A maggio 2018 è uscita una nuova raccolta, Fioriture capovolte, ancora per Einaudi editore. In corso di pubblicazione per le edizioni di Pangea , nell’ambito di un progetto pilota curato da davide Brullo per l’Ospedale S. Matteo di Pavia,  la silloge in lasse prosastiche Un altro tempo. Appena uscita, nella collana “Gialla oro” di LietoColle/Pordenonelegge, l’autoantologia con inediti Frammenti di felicità terrena. Vive e lavora a Milano.


Non lo sappiamo, se la partenza non sia 
in realtà un ritorno, e la verticale dei legami
recisi (sapore di zolla ancestrale, profili
all'orizzonte di un gesto, incisi: e il padre,
i padri) non ci aspetti in altre riannodate 
sembianze all'arrivo del viaggio. Non sappiamo
quanto lungo il tempo dell'abbandono, quale
precisamente sarà l'arrivo, se mai ad uno 
giungeremo. Conosciamo solo la necessità.
Saremo noi, se ci sapremo riconoscere,
la terra promessa.

Giovanna Rosadini
( Da "Il numero completo dei giorni" Aragno 2014)


***

Quando è nato il suo amore per la poesia?

Da bambina, annusando i libri della biblioteca di casa. Fondamentale fu però un regalo, inviatomi in ospedale dopo l’operazione di appendicite, fattomi da Antonio, un ragazzino che abitava nella casa dietro la nostra, in collina a Nervi. Si intitolava “Cinque lire di stelle”, era una piccola antologia di poesie di Garcia Lorca. E’ stato il mio primo libro di poesie, fui conquistata dal garbo fantasioso e imprevedibile della scrittura in versi. Il piccolo amico che me lo regalò, che aveva una vivissima sensibilità e intelligenza, anche a causa della malattia che lo affliggeva, morì poco tempo dopo. 

Potrebbe spiegare in parole semplici la sua poetica? 

Considero la poesia un’esperienza del mondo che nasce per osmosi con la vita. Il poeta è una sorta di rabdomante che, a nome di un io che è in partenza singolo ma anela a farsi collettivo noi, trova le parole per esprimere emozioni ,sentimenti e pensieri che sono di tutti, universali e senza tempo. Cercando al contempo di esprimere una visione del mondo originale e personale. Detto questo, io sono per una poetica del pieno e del senso, nonostante sia, o meglio proprio perché, consapevole del lato rovescio delle cose, e della potenziale insensatezza e negatività del tutto. 

Che rapporto c'è secondo lei tra poesia e canzone? 

Sembra un’ovvietà a dirsi, ma la canzone è fatta per essere cantata, cioè abbinata, completata da una melodia. Come noto la poesia, anticamente, nasce come canto, tanto che in ebraico esiste una sola parola, “shir”, a designare l‘una e l’altra cosa. Col passare dei secoli la poesia si è separata dalla musica, divenendo, da pratica corale e collettiva, un esercizio privato e individuale. Oggi, mi pare, se prendiamo in considerazione la sola scrittura, la poesia appare, nonostante la rivoluzione novecentesca del verso libero e tutte le più recenti inclinazioni verso la prosa e un linguaggio “oggettivante”, come qualcosa di più strutturato e complesso, rispetto alla canzone. 

Quali sono i suoi poeti preferiti?

Partendo dagli italiani, la lezione di Leopardi, definito recentemente da Antonio Moresco “poeta insurrezionale”, rimane imprescindibile. Arrivando al Novecento, l’amatissimo conterraneo Montale e poi una certa linea lombarda, Sereni e Raboni, a cui torno spesso. Fra i viventi, considero Milo De Angelis un maestro di riferimento, e poi le amiche e sorelle della poesia, da quelle maggiori (Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Mariangela Gualtieri, Patrizia Valduga) alle più o meno coetanee come Maria Grazia Calandrone e Giovanna Frene. Fra gli amici più giovani, leggo molto volentieri Cristiano Poletti e Franca Mancinelli. 
Poi non posso non citare la poesia americana, i giganti Whitman e Dickinson e la grande poesia femminile del Novecento, soprattutto Anne Sexton, fino a voci contemporanee imprescindibili come Sharon Olds e Adriennne Rich. Infine la poesia ebraico-israeliana, su tutti Yehuda Amichai.

Per molti in poesia è importante soprattutto come si dice e non cosa si dice. Lei cosa ne pensa?

Penso (come credo chiunque abbia un minimo di consapevolezza in materia) che le due cose (il “messaggio” e il modo in cui è veicolato) siano inscindibili, e proprio questo fa la poetica di un autore. In ogni caso, chi fa poesia, se ambisce a scrivere qualcosa di significativo, non può prescindere da una riflessione e ricerca riguardo allo stile.

Non trova che a livello culturale in questi anni ci sia stato un livellamento verso il basso, forse anche a causa dell'omologazione descritta da Pasolini?

Se il generale abbassamento del livello culturale in Italia mi pare indubitabile, non sono altrettanto sicura che le categorie dell’analisi fatta a suo tempo da Pasolini bastino a spiegare il fenomeno così come oggi si presenta. Il mondo è cambiato moltissimo, negli ultimi cinquanta-sessant’anni, e, se omologazione c’è stata, penso che si siano innestati anche altri fattori, come l’inesorabile provincializzazione del nostro paese.

Negli anni settanta i giovani rifiutavano la poesia e amavano la politica. Come ne pensa di quel periodo e di quella generazione poetica definita neo-orfica?

In un certo senso gli anni Settanta segnano una discontinuità nel fare poetico, penso per esempio  a un’autrice che si va oggi riscoprendo, Piera Oppezzo, che, dopo un precoce e significativo esordio nella Bianca Einaudi a metà degli anni Sessanta, si trasferisce da Torino a Milano dove trascorrerà il decennio preferendo la vita e l’impegno politico alla scrittura. In generale, la poesia neo-orfica fu da un lato la risposta all’eredità della neoavanguardia del decennio precedente, dall’altra probabilmente rappresentò la via d’uscita della scrittura poetica dalle pastoie dell’iperpoliticizzazione (che decretava il primato della politica) del tessuto socioculturale di allora. Dell’officina di Niebo e di quel filone di ricerca rimane oggi la personalità indiscussa di Milo De Angelis, mentre si è persa memoria dei meno dotati, e altri, come Pontiggia, hanno preso strade diverse…

Che ne pensa degli slam di poesia?

Mi divertono e appassionano, come spettatrice. Sono un rito in cui entrano in gioco l’attitudine performativa dell’autore e il coinvolgimento del pubblico. Ma, come nel caso della canzone, la poesia è un’altra cosa (mi riferisco alla qualità e complessità dei testi).  

Che ne pensa degli instapoets?

Anche loro mi divertono e appassionano, penso sia certamente uno dei modi in cui la poesia si adatta al cambiare dei tempi, è senza dubbio un fenomeno interessante, considerata oltretutto la “varietà dell’offerta”, ma il rischio che si corre in quest’ ambito è quello di una eccessiva semplificazione, quando non banalizzazione, dei testi. 

Che ne pensa del rapporto tra nativi digitali e la poesia? 

Non sono un nativo digitale, non saprei quindi bene come rispondere. Constato però la quantità di giovani e giovanissimi poeti, o aspiranti tali, fra i nativi digitali…

Cosa ne pensa della poesia visiva?

Come esperienza derivata dalla neoavanguardia mi pare del tutto superata, mentre come linea di ricerca che punta alla commistione fra linguaggio ed espressione artistica registro dei casi interessanti, come il lavoro della giovanissima Paola Mancinelli.

Di critici ce ne sono pochi e la maggioranza sono sia poeti che critici. È d'accordo? 
Che ne pensa?

Non del tutto: due fra i migliori critici di poesia, Andrea Cortellessa e Roberto Galaverni, non scrivono poesie. Che poi buona parte di coloro che scrivono di poesia siano anche poeti, mi sembra in un certo senso inevitabile, coi pro e contro che questo comporta in termini di conflitto d’interessi,  ma non vedo in ciò necessariamente un male: chi scrive poesia ha generalmente la sensibilità e competenza giuste per analizzare l’altrui lavoro poetico, se lo fa con onestà. 

Per me la televisione è una pessima babysitter per i bambini, un pessimo divertimento per gli adulti ed una ottima badante per gli anziani.  Che ne pensa a riguardo? Concorda? 

Non vedo attinenza fra la domanda e il discorso sulla poesia su cui si fonda l’intervista. In ogni caso, la televisione è oggi un mezzo quasi obsoleto, e comunque è uno strumento, in sé né buono né cattivo, dipende dall’uso che se ne fa.  

Luzi, Calvino, De Andrè avevano una certa ritrosia a parlare di fronte alle telecamere. È indispensabile oggi saper parlare in pubblico per un artista? Secondo lei Elena Ferrante è solo una eccezione? Che ne sarà degli artisti timidi oppure ansiosi? Oppure di quelli che soffrono di dismorfofobia?

Viviamo in un’era mediatica, e i poeti sono spesso chiamati a leggere e presentare la loro poesia in eventi pubblici. Pertanto, sì, anche per un poeta è importante sapersi presentare e relazionare coi propri lettori. Ci sono autori più portati a farlo, altri meno. Io rientro fra questi ultimi, anche se con gli anni ho maturato un’esperienza che mi aiuta. Ho trasformato la mia disabilità, che oggettivamente complica le cose, in un elemento del gioco, e così, non potendo tenere in mano un libro e girare le pagine, leggo da una stampata preparata prima lasciando via via cadere i fogli: una performance involontaria. 

Un tempo i bambini imparavano a mente le poesie. Oggi si imparano a mente  le canzoni. Ci siamo involuti a livello artistico? Non trova che la decadenza letteraria può portare alla decadenza di una nazione? 

Questo è ciò a cui ci hanno portato l’omologazione e la cultura di massa di cui si parlava prima, quell’avvenuto livellamento verso il basso che ha obliterato il carattere apicale che ancora la nostra cultura aveva  sino a pochi decenni fa. In ogni caso, invertirei i fattori: è la decadenza, o la marginalizzazione, di una società e di un paese che si porta dietro la decadenza letteraria…

Per alcuni la poesia dovrebbe opporsi ai modelli dominanti della civiltà consumistica. Secondo lei è realisticamente possibile ciò?

Ma per carità, la poesia occupa uno spazio talmente irrisorio, e ha un peso talmente piccolo, un ruolo così ininfluente nelle società contemporanee, che mi sembra un pensiero assolutamente velleitario.

Un tempo la poesia veniva valutata in base a certi canoni estetici (metrica, eufonia, appartenenza del poeta a un ismo). Non trova che oggi questi criteri si siano dissolti e che sia sempre più difficile valutare un poeta?

Vero è che, per fortuna, il tempo degli “ismi” è tramontato, e che col Novecento sono profondamente mutati i criteri di valutazione estetica di un’opera, con la rottura delle forme metriche tradizionali, l’avvento del verso libero e di una maggiore libertà compositiva. Però il lavoro critico è sempre possibile, e richiede, per potersi orientare nella grande varietà della produzione poetico-letteraria odierna, sicuramente una preparazione tecnica di base e una grande esperienza – senza dimenticare che il gusto e le predilezioni personali sono parte imprescindibile del lavoro. 

Hai mai avuto la tentazione di pubblicare un canzoniere e trattare esclusivamente di amore?

Anche se non dichiaratamente, tutti i miei libri lo sono!

I giovani del sessantotto compirono il parricidio. I giovani di oggi non possono tagliare le radici con i genitori a causa della crisi economica. Molti sono dipendenti dai genitori. Che ne pensa a riguardo? È d'accordo? Che ne pensa di chi definisce i giovani di oggi bamboccioni o schizzinosi?

Anche questa è una domanda fuori tema per un’intervista che tratta di poesia… avendo due figli giovani, posso dire, ancora una volta, che le generalizzazioni sono fuorvianti, e che nella società liquida che siamo diventati e stiamo diventando qualsiasi tipo di ruolo e figura sociale è in crisi, a partire da quello dei genitori che dovrebbero essere i primi referenti dei figli, e quindi dei giovani, che a loro volta crescono e si muovono in un mondo sempre più complesso e privo di coordinate interpretative: il loro disorientamento è comprensibile. 

La classe dirigente dovrebbe a mio avviso dare il buon esempio. Eppure il sistema universitario spesso si basa sul nepotismo, sul clientelismo, sulla ricattabilità. Concorda? 

Sono mali antichi, che perdurano. 

Alcuni guerrafondai pensavano che Dio fosse con loro e hanno fatto dei disastri. Per Dostoevskij se Dio non c'è  tutto è permesso. Secondo lei che rapporto c'è tra fede e condotta degli uomini? Si possono fare delle generalizzazioni?

Anche in questo caso esuliamo dal terreno della poesia… Che dire? Nel mondo e nelle società occidentali si è storicamente prodotta una sana e opportuna separazione tra la sfera della religione e della fede, vissuta come fatto privato, e quella dell’agire pubblico e sociale… cosa da cui invece le odierne società islamiche sono molto lontane, prevedendo la loro cultura il primato della religione e della fede su ogni aspetto della vita pubblica e privata. Oggi come oggi, pertanto, le nostre società sono ampiamente secolarizzate, e la fede, ove presente, è un fatto che riguarda solo la sfera individuale, mentre l’opposta postura culturale del mondo islamico ha contribuito a generare un fenomeno come l’estremismo terrorista, e temo creerà problemi legati alla sempre maggiore presenza di comunità generate dall’immigrazione nelle società ospitanti. 

Un tempo il marxismo sembrava una scienza esatta.  Poi ci sono stati la scoperta degli orrori del comunismo, l'implosione della Russia. Come ha vissuto quel periodo? Fu uno stravolgimento per lei oppure no?

Ho avuto modo di girare l’Europa dell’Est prima della caduta del muro di Berlino, di viaggiare e vivere nella Cina post maoista constatando i guasti e gli orrori (si pensi alla Rivoluzione culturale, per esempio) prodotti dal comunismo cinese… Sono stata nella Cuba di Fidel Castro…  Ovunque ho toccato con mano lo sfacelo totale che il comunismo ha prodotto in quelle società… povertà, oppressione politica, mancanza di libertà e diritti civili… il comunismo è stato un fallimento storico colossale… Credo che le democrazie liberali abbiano tutto sommato realizzato il (per quanto pieno di difetti e problemi) migliore dei mondi umanamente  possibili… riuscendo storicamente a evolversi e migliorarsi… in questo senso voglio rimanere fiduciosa in una generale presa di coscienza riguardo ai sempre più evidenti ed impellenti problemi ambientali del pianeta, che mi auguro scienza e tecnologia potranno aiutarci ad affrontare.

Che rapporto ha con gli altri poeti italiani?

Come in tutti gli ambienti, con un discreto numero siamo buoni amici, con una rosa ristretta molto amici, con altri c’è meno affinità umana e poetica, – ma in genere buoni: è sempre bello ritrovarsi per gli appuntamenti letterari annuali che si svolgono in Italia. 

Il poeta Valerio Magrelli in una intervista a Fabio Fazio dichiarò che per essere letterati bisogna aver letto almeno ottomila libri. Che ne pensa a riguardo? 

Non ho mai pensato a una quantificazione numerica delle letture, ma senza dubbio per essere letterati occorre aver letto molto. Se poi per letterato si intende anche scrittore/poeta, per quello non bastano le letture, ci vuole anche il talento.

Oggi tutti sui social fanno gli opinionisti. Alcuni si improvvisano tuttologi. Come giudica questo fenomeno virtuale dilagante ormai?

Anche i social, come gli altri media, sono un fantastico strumento, non esente da rischi. La deriva narcisistica, insieme alla tendenza a pontificare su cose di cui si ha una conoscenza approssimativa, sono i principali. Per fortuna ci si possono scegliere i contatti. 

Cosa ne pensa di quella che viene definita attualmente poesia di ricerca?

Penso che tutta la buona poesia, ovvero la poesia di cui l’autore abbia sufficiente preparazione e talento, ove l’autore si metta in gioco cercando un proprio stile e una propria modalità comunicativa, sia “di ricerca”.  Chiarito questo, quella oggi canonizzata come “poesia di ricerca” mi lascia del tutto indifferente. E’ una poesia sintetica, artificiosa, senza anima.

Alcuni poeti moderni vorrebbero eliminare l'io lirico. Che ne pensa? 

Penso che la letteratura, e quindi la poesia, fanno parte delle scienze umane. Restiamo umani, dunque.

Cosa ne pensa della poesia aforistica come quella dell'ultimo Montale, dell'ultimo Caproni, degli Shorts di Auden, della produzione più recente di Cesare Viviani? Sarà sempre un genere minore?

Penso che sia naturale per un poeta modificare il proprio stile nel tempo, e che sia naturale, col tempo, una minore verticalità della scrittura, e un andamento più meditativo/considerativo. Non credo che sia un genere minore, è un altro genere. 

Internet per alcuni aspetti è ancora un territorio selvaggio (porno revenge, cyberbullismo, truffe, frodi). Può essere anche un luogo di rinascita per la poesia contemporanea?

A questo credo di aver risposto alla domanda numero nove. 

Secondo lei è possibile regolamentare i flussi migratori nel mar Mediterraneo?

Posto che il fenomeno è epocale, una qualche forma di gestione, a livello sovranazionale, dovrebbe potersi dare, mi sembra evidente.

Gli italiani si sono molto impoveriti in questi anni. Per Sartre "il razzismo è lo snobismo dei poveri". Rischiamo di diventare sempre più razzisti per questo motivo?

Gli strati meno abbienti della popolazione (delle popolazioni) sono quelli direttamente toccati dal fenomeno immigrazione, sono quelli che si trovano in frontale antagonismo per, ad esempio, l’assegnazione di una casa popolare… certo è più facile, per chi non ha di questi problemi, essere “politically correct”. Il messaggio di fratellanza tra i popoli predicato da religioni e dottrine universalistiche ha un enorme valore umano e simbolico, ma è destinato a rimanere utopia. Ciò non toglie che ciascuno, nello spazio della propria coscienza individuale, possa scegliere come relazionarsi con l’altro.

In un muro di Latina una volta ho letto: "sempre più connessi, sempre più soli". Concorda con questa frase? C'è il rischio in futuro di una società sempre più asociale?

Il futuro è già qua: basta entrare nel vagone di un metro per vedere ogni passeggero concentrato sul suo smartphone, o, scena ormai normale al ristorante, constatare come la convivialità sia minata dall’attenzione rivolta al telefono…

A mio modesto avviso la poesia può essere epifania e ricerca di corrispondenze, ma può essere anche epifania (legga anche teofonia, quasi piccola rivelazione divina). Le piacciono i versi di Rebora e Turoldo? Oppure sente distante la poesia religiosa?

Penso che in ogni caso la poesia sia una forma di comunicazione col divino, per la componente di mistero che investe l’attività creativa. La poesia, come la creazione artistica in generale, ha sempre un carattere di rivelazione. Devo dire però che non amo la poesia dichiaratamente religiosa, pur apprezzando molto poeti come Rebora e Luzi.

Per alcuni la letteratura non conduce alla salvezza ultraterrena. Per altri addirittura la letteratura è sinonimo di dannazione. I poeti maledetti probabilmente non si sono salvati. Che ne pensa?

Né dannazione né salvezza ultraterrena, in certi casi, forse, la poesia ci può salvare solo da noi stessi…

Un mio professore di filosofia all'università sosteneva che l'uomo a livello esistenziale ha solo due verità: una di fatto( un giorno moriremo) ed una di ragione (ci sono cose che dipendono da me ed altre che non dipendono da me, ma non so bene quali a onor del vero). Concorda? Siamo messi così male?

Da un punto di vista filosofico, così è. Poi c’è l’amore per la vita, la ricerca del bello, la sfera relazionale e amorosa, quella sensoriale…

La poesia può ancora essere mitopoietica nelle società tecnologicamente avanzate?

Ma certamente! La poesia e l’arte in generale, pensiamo solo al cinema…

Il rap può essere poesia?

Dipende. Il caso di Kate Tempest lo confermerebbe.

Leggere poesia può aprire la mente e combattere i luoghi comuni?

Senza dubbio. La buona poesia è sempre portatrice di significati plurimi, e necessita dell’interazione col lettore, del suo ruolo attivo, per far emergere il significato racchiuso nel suo sembiante. Questo significa attivare mente e sensi dei suoi fruitori, che sono chiamati
a condividere la responsabilità di una interpretazione possibile del mondo.

Secondo l'immaginario comune il poeta è una persona sensibile. Secondo lei ciò corrisponde alla realtà?

Questo fa parte, appunto, dell’immaginario comune.  Chiunque lo può essere, una persona sensibile; quello che fa la differenza è che il poeta, o l’artista in generale, ha gli strumenti per oggettivare, per dare una forma, ai propri contenuti psichici ed emotivi.

Croce in "Etica e politica" scriveva che non si deve considerare la vita privata di politici ed artisti. Lei che ne pensa?

Io credo invece che la vita privata di un artista influisca decisamene sulla sua opera.

L'Italia è un Paese colmo di corporazioni. Anche a livello poetico ci sono diverse cricche a mio modesto avviso. Secondo lei è così?

Corporazioni, o cricche, sono parole grosse… Direi piuttosto che esistono gruppi di persone che si scelgono e frequentano in base alle loro affinità, o contiguità geografico-editoriali: i poeti “di ricerca“,, quelli irici, i poeti romani… quelli marchigiani…

Che ne pensa dell'attribuzione del premio Nobel a Bob Dylan?

Un Nobel di rottura, sicuramente… ma su poesia e canzone ho già detto nella terza 
risposta.

Se dovesse salvare un solo libro di poesia per i posteri quale salverebbe?

Il Cantico dei cantici.

Secondo lei la poesia morirà con l'ultimo uomo oppure è destinata a scomparire nella civiltà dell'immagine?

La poesia continuerà ad esserci finché ci sarà l’uomo.

Che cosa ha in cantiere? Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Ho appena licenziato due libri, quindi al momento sono un po’ sguarnita quanto a progetti per il futuro… L’autoantologia che mi hanno chiesto Michelangelo Camelliti e Gian Mario Villalta per la Gialla oro di Pordenonelegge è appena uscita, col titolo di “Frammenti di felicità terrena”. Contiene anche una serie di inediti, e si presenterà alla prossima edizione di Pordenonelegge, il 21 settembre. Subito prima, ho scritto un piccolo corpus in lasse prosastiche (“Un altro tempo”) per un progetto pilota promosso dall’ospedale S. Matteo di Pavia, curato da Davide Brullo.

Si sta assottigliando lo strato dell'ozono. Si stanno sciogliendo i ghiacciai. Sta scomparendo la foresta amazzonica. In Africa i bambini muoiono di fame e ci sono guerre dimenticate. Ci stiamo avviando verso il suicidio della specie? La poesia può solo consolare?

Da madre, spero proprio di no! Quanto alla poesia, può ben poco sui destini del mondo... Però, senza ombra di dubbio, può consolare e aprirci delle porte di comunicazione con gli altri e con l’Altro, quella parte di mistero della vita che chiamiamo anima.

Davide Morelli

Una inedita Giovanna Rosadini. La poetessa intervistata a trecentosessanta gradi da Davide Morelli Una inedita Giovanna Rosadini. La poetessa intervistata a trecentosessanta gradi da Davide Morelli Reviewed by Ilaria Cino on settembre 09, 2019 Rating: 5

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