Intervista a Federico Preziosi di Davide Morelli


Federico Preziosi nasce ad Atripalda (Av) nel 1984. Interessato da sempre alla musica, studia Musicologia e Beni musicali presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, laureandosi in Estetica e Filosofia della musica con una tesi su Béla Bartók. Suona il basso negli “Slow Motion Genocide”, con i quali pubblica l’omonimo ep e un disco, Unculture. Oggi vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con Armando Saveriano, con il quale fonda il gruppo facebook “Poienauti”. Nell’aprile 2017 vede la luce il suo esordio, Il Beat sull’Inchiostro, poetry slam ideata su intrecci di rime e assonanze a ritmo di rap. La silloge ritrae l’odierna società utilizzando robuste dosi di sarcasmo, irriverenza e tanta schizofrenia. Nel luglio 2019 vede la luce Variazone Madre (Controluna – Lepisma Floema), opera nella quale l’autore si immedesima nella scrittura al femminile.



a me chiamano i numi d'abbandono
sotto le unghie di terra sporche e i solchi
che lo scavo sovviene a noia a lambire rami secchi
che la ragione s'immola avvizzendo stigmate.
Battute e ribattute carni rosse a deglutire sono semplici
come semplice sarebbe liberarsi di qualcuno. Quanto mistero
in sfumature e concertate complicanze. Quanto lieve l'atroce
sentirsi perdutamente in divenire.

Federico Preziosi

***


Quando è nato il suo amore per la poesia?

Da quando è morto David Bowie più o meno, si sono verificate una serie di coincidenze che mi hanno portato a scrivere con costanza. Vengo dalla musica e dal suo immaginario (spesso anche letterario), ma in questo ambito non sono riuscito a concretizzare un percorso continuo per ragioni personali. Ho sempre avvertito l’esigenza di esprimermi in qualche modo e ho trovato nella poesia un luogo ideale dove concetti e suoni potessero coesistere. Non mi interessavo alla poesia prima se non in casi sporadici, ho cominciato a leggerla davvero da pochi anni. Tutto sommato posso ritenermi fortunato, è una scoperta che riempie le mie giornate.


Potrebbe spiegare in parole semplici la sua poetica?

Da bambino mi divertivo a creare maschere e costumi con cartoncini, colori e carta velina. Mi è sempre piaciuto mettermi nei panni di qualcosa o qualcuno, fingere per conoscere ed esplorare. A pensarci bene la mia poesia non è tanto diversa, è fatta principalmente di immedesimazione. Molti denigrano questo modo di fare, credono che la realtà sia fatta di cose vissute individualmente. Nulla di più lontano da ciò che è l’uomo, empatizzare è un atto necessario altrimenti vigerebbe un freddo e cinico moralismo: non si sente per davvero senza una reale empatia, non si entra nell’uomo se non ci si immedesima negli altri. Naturalmente non ho nulla in contrario con i poeti che parlano di se stessi in base alle esperienze personali, la poetica conta fino a un certo punto, sono più importanti i risultati espressivi e per quelli non esiste una ricetta.

Che rapporto c'è secondo lei tra poesia e canzone?

È un rapporto profondo che si incontra e si scontra a seconda dei casi. In generale la canzone è maggiormente vincolata a un testo da adattare alla musica, mentre la poesia gode di una maggiore indipendenza. Questo non significa che la canzone non possa esprimere poesia, anzi spesso un testo musicato può essere più efficace rispetto a uno nudo e crudo. La poesia non esclude altre forme d’arte, ma di certo una canzone può essere priva di poesia, una poesia, una vera poesia, invece, non rinuncia mai a se stessa per potersi realizzare.

L'insegnamento e i rapporti con gli allievi le ispirano un particolare modo poesia?

Qualche volta sì, l’insegnamento è parte della mia vita ed il suo apporto emotivo sicuramente costituisce una fonte di ispirazione. Gli allievi pongono sempre questioni fondamentali, sia generazionali sia comportamentali. Sono espressioni umane davanti ai miei occhi, ognuno con le proprie storie e aspettative. Impossibile non captare qualcosa, che razza di insegnante sarei?

Si ritiene un poeta performer?

No, la performance è solo una pratica per esplorarmi, riascoltarmi, essere consapevole di un’immagine che trasmetto all’esterno, ma è più un gioco che una convinzione. La performance richiede pratica, preferisco scrivere.

C'è chi divide la poesia italiana di questi anni in neolirica e poesia di ricerca. Non le sembra riduttivo?

Penso che si parta da una convinzione propria che sia in grado di assecondare una necessità espressiva. Porre degli steccati mi sembra riduttivo, anche la neolirica può essere una ricerca, dipende cosa si sta cercando e questo sarebbe più interessante da capire, a mio avviso.

Alcuni poeti contemporanei vorrebbero eliminare l'io lirico. Che ne pensa?

Non ha senso eliminare l’Io lirico, non è il cosa ma come lo si usa ad essere importante.

Non le pare che manchi il pronome "noi" nella poesia italiana di questi ultimi anni?

Il “noi” esprime generalmente un senso di vicinanza, molta poesia è fatta di mancanza. Porsi in una dimensione al plurale è una sfida più dura probabilmente, bisogna includere anche cose che non appartengono all’Io e farle proprie.

Quali sono i suoi poeti preferiti?

La mia preferita è senz’altro Amelia Rosselli, ma mi fermo qui perché vorrei evitare di fare liste per la spesa.

Che ne pensa degli instatpoets?

Qualche volta sono interessanti, altre volte no. È un modo di scrivere che può dare risultati positivi o negativi, non nutro alcun pregiudizio al riguardo.

Che ne pensa del rapporto tra nativi digitali e la poesia?

Credo che i social, prediligendo una forma espressiva breve, abbiano ricreato un certo interesse per la poesia. Il problema è selezionare un quantitativo di materiale, decisamente eccessivo. Manca una guida in questo senso, la brevità se da un lato privilegia la poesia, dall’altro la svilisce perché è un continuo bombardamento di contenuti a velocità supersonica. Così come la generazione Gutenberg ha da chiedere aiuto ai nativi digitali per sopravvivere, i nativi digitali devono recuperare la capacità di approfondimento di coloro che li hanno preceduti, il rischio di disorientarsi è alto.


Per essere poeti di alto livello molti pensano che sia necessario avere molta consapevolezza. Che ne pensa?

Non so, non credo che il genio sia sempre consapevole. Sicuramente la pratica e l’esperienza aiutano, ma non sono tutto. Se fosse così basterebbe studiare per essere grandi poeti. Una poesia sta in piedi al di là della poetica, non possiamo utilizzare una dichiarazione per giustificare un obbrobrio, per esempio. Paradossalmente anche questa è una consapevolezza, allora la risposta che mi sento di dare è la seguente: Nì!

Cosa ne pensa della poesia visiva?

Si può fare un discorso simile a quello fatto sulla canzone e vale solo se la parola compenetra l’immagine, ma qui si aprono scenari infiniti e realizzare una tecnica pittorico-raffigurativa in sintonia con le parole dipenda dalla disposizione, dal carattere, dalla calligrafia, i colori ecc. Sono troppi gli elementi di cui tenere conto, le variabili sembrano difficili da controllare.
Di critici ce ne sono pochi e la maggioranza sono sia poeti che critici. È d'accordo? Che ne pensa?

Se la poesia è poco frequentata in generale, è naturale che si ricopra il doppio ruolo, ma non credo che questa sia una novità: Pasolini e Sanguineti sono solo i primi nomi che mi vengono in mente.

Per avere un proprio stile bisogna avere una originale visione del mondo. Però oggi il mondo è complesso ed è sempre più difficile farsi una visione del mondo. È d'accordo? 

Lo stile è una ricerca costante, qualcosa da inseguire. Personalmente non credo che ne esista uno solo, tanti grandi poeti hanno avuto delle evoluzioni e hanno attraversato delle fasi, dunque credo negli stili al servizio di una rappresentazione dei mondi.

In che rapporti è con gli altri poeti?

Non ho grandi contatti con i poeti contemporanei più rinomati, personalmente cerco sempre di avere buoni rapporti con gli altri. Mi considero una persona amichevole che tuttavia non risparmia critiche, sempre cercando di dividere l’uomo dall’artista.

Potrebbe dire cosa è per lei la poesia?

Una definizione definitiva non sono capace di darla, ma per me la poesia è scavarsi, esplorarsi e portare alla luce significati, simboli e figure; tuttavia con lo scavo emergono anche enormi vuoti e questioni a cui non si riesce a dare una risposta.

I poeti devono per forza essere fuori dalle logiche di mercato? Per fare veramente poesia bisogna essere alternativi? 

Sarebbe stupido porre la poesia fuori dal mercato: nel momento in cui si va in stampa è anche interesse dell’autore vendere, non per il profitto, ma per dare un senso di insieme del proprio lavoro, anche perché pubblicare un’opera non significa necessariamente approdare, anzi potrebbe ridursi al presentarsi. Il mercato è la condizione in cui avviene la diffusione a un certo livello, al di là del valore della poesia. Se un poeta non è grado di fare questo, dovrà comunque trovare qualcuno che possa assumere su di sé questo compito. Ciò che conta è non scrivere per il mercato, per compiacere e vendere fumo. Un buon poeta deve avere l’ambizione di fornire una visione diversa del mondo, fare della propria diversità un punto di forza. Rispetto coloro i quali non desiderano entrare all’interno del mercato, ma non ne condivido il pensiero. Per com’è fatto il mondo oggi, difficilmente qualcuno verrà a rovistare nei nostri cassetti o negli hard disk quando non ci saremo più. Bisogna dare testimonianza subito, adesso, sentire su di sé una missione sociale e culturale. Se non si ha questa ambizione non ci lamentiamo se il ruolo dei poeti sia affidato a dei mediocri sui canali mediatici: gli spazi lasciati liberi vengono occupati da un altro, tutti utili e nessuno indispensabile.

A mio avviso i fini più nobili per cui scrivere sono prendere coscienza riguardo a qualcosa(questo significa fare anche denuncia sociale) e cercare di dare una chiave interpretativa originale del mondo. Lei è d'accordo? Sono forse troppo categorico? 

Forse sì, perché spesso la coscienza emerge dopo la scrittura e non prima. Posso riportare come esempio l’esperienza della mia ultima pubblicazione, “Variazione Madre” (Controluna – Lepisma Floema). Quando più di un anno fa ho cominciato a scrivere le poesie che hanno composto la silloge, desideravo dare voce solo alla mia parte femminile e non avevo nessuna pretesa di natura politica o sociale. Un lavoro sulla consapevolezza l’ho condotto solo confrontandomi con Giuseppe Cerbino, il quale ha curato e prefato il volume. Nella sua prefazione sono emersi tanti elementi di cui non mi ero reso conto, che tuttavia ho riconosciuto come veritieri. L’immagine della donna che restituisco è incentrata molto sul desiderio, ma anche sulle sue funzioni biologiche, come la possibilità di essere madre. Per me questo è un punto cruciale: se davvero ci si vuole immedesimare in una donna, bisogna immaginare cose che con il corpo di uomo non è possibile fare. Come si può essere donna, del resto, senza tenere conto del piacere e del dolore che il corpo procura? So di toccare degli argomenti molto delicati che potrebbero far discutere, tuttavia non mi ero reso conto inizialmente di quanto potesse essere “politica” questa silloge. Tutto è avvenuto con naturalezza, non mi sono mai sentito di sposare una causa ideologica, l’elemento sensoriale va oltre quello razionale.


Quale è la visione del genere umano che sottende la sua poesia?

La mia poesia mostra spesso i contrasti dell’animo umano. Credo che siano le zone grigie, più di quelle bianche o quelle nere, a restituirci la realtà e l’umanità di ciò che rappresentiamo. Ognuno di noi può essere in potenza tante cose, è la scelta che ci connota e ci mostra agli occhi del mondo. Ma quella scelta è spesso frutto di un conflitto interiore enorme e lacerante: se l’uomo fosse sempre in grado di capire il dolore e la difficoltà della contingenza, questa sarebbe una società meno moralista e più comprensiva, lontana da pretestuose risposte confezionate che fanno tanto bene all’ego, ma che di fatto portano alla disumanizzazione dell’individuo.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Continuare a scavare.


Davide Morelli


Intervista a Federico Preziosi di Davide Morelli Intervista a Federico Preziosi di Davide Morelli Reviewed by Ilaria Cino on luglio 29, 2019 Rating: 5

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