Scritture critiche: Scrittori e televisione
Foto Josef Koudelka - Parigi 1980 |
Diciamocelo onestamente: talvolta chi fa televisione è superficiale e non pensa che sta entrando nelle case degli italiani, mentre i telespettatori sono spesso distratti. In televisione vince sempre la semplificazione e la massa crede quasi sempre a quello che viene detto in un talk show. Visto che ci sono opinioni contrastanti diventa vero tutto e il contrario di tutto. L'importante per affermare le proprie idee è essere tracotanti e ridondanti. Ogni opinionista, non importa se esperto o meno in qualche ramo dello scibile, acquista subito una straordinaria autorità agli occhi del pubblico. Il piccolo schermo è il regno delle dicotomie e non c'è spazio per le sfumature. Ogni intellettuale che va in televisione mostra una rappresentazione distorta del suo pensiero perché è costretto ad esporre concetti elementari per farsi capire ed è anche costretto ad autocensurarsi. Non solo ma se uno scrittore si rivela troppo noioso il pubblico può subito cambiare canale. Non bisogna essere esperti di comunicazione di massa per capirlo.
Oggi i telespettatori hanno l'imbarazzo della scelta: più di cento canali dove trovano telequiz, telepromozioni, documentari, film , sceneggiati. Eppure lo scrittore rischia sempre di apparire farraginoso quando parla del suo libro perché come scrive Milan Kundera lo spirito del romanzo è lo spirito della complessità. Che ne sarebbe attualmente di Kafka, Proust, Musil, Joyce, Svevo, Moravia, Pavese? Gli scrittori vanno in TV per raggiungere un pubblico più vasto ma siamo così sicuri che riescano veramente in questo intento? Povero Lukacs per cui il romanzo per essere tale doveva mostrare la problemacità del reale e doveva aspirare alla totalità! Un tempo gli intellettuali andavano in TV per orientare l'opinione pubblica ma ora non esiste più l'opinione pubblica. Non dimentichiamoci inoltre che i programmi ad hoc per gli scrittori sono diminuiti. Anni fa ogni sera andava in onda il Maurizio Costanzo show. Daria Bignardi non intervista più nessun artista. L'unico programma che riesce per un poco di tempo a dare realmente visibilità ad uno scrittore è quello di Fabio Fazio. Ci sarebbe anche la trasmissione notturna di Marzullo ma l'audience è inferiore. Masterpiece, che era un interessante talent sulla scrittura, non ha avuto un seguito. Restano i talk show di attualità, spesso faziosi e politici, che possono dare visibilità agli intellettuali. Sono lontani gli anni in cui Baricco e Sgarbi potevano fare periodicamente i divulgatori in TV rispettivamente della letteratura e dell'arte. Ritornando al successo televisivo va detto che anche l'aspetto fisico per bucare lo schermo può rivelarsi determinante. Un artista avvenente ha più probabilità di lasciare il segno. In televisione ci sono molti Big Jim e molte Barbie. Ad una certa età molti personaggi del mondo dello spettacolo per essere sempre piacenti si rifanno dal chirurgo estetico e si mettono i denti di porcellana. L'apparire insomma conta molto più dell'essere. Una altra cosa importante è la dizione. Il pubblico televisivo giudica negativamente le inflessioni e i termini dialettali del centro e del sud. Lo sanno bene le showgirl e i presentatori che fanno corsi di dizione e parlano sempre l'italiano che si parla al settentrione. Ciò forse è dovuto al fatto che le grandi case editrici e Mediaset sono al nord. Forse è dovuto al fatto che il nord è più industrializzato rispetto al resto della penisola. Oppure forse è dovuto anche all'ascesa in questi anni della lega nord e alla diffusione della sua mentalità.
Per essere artisti non è necessario essere degli ottimi oratori, ma in questa società mediatica è davvero una grande facilitazione. Gli artisti oggi vengono intervistati, presentano i loro libri e spiegano le loro poetiche in conferenze stampa, in libreria oppure alla televisione. Da questo punto di vista sembra di essere ritornati ai tempi dell'oratoria greca o dell'ars dicendi latina, anche se forse quella attuale è una misera parodia. Ora l'oratoria la chiamano public speaking. Vengono tenuti corsi per insegnare strategie comunicative vincenti e vengono chieste le consulenze di psicoterapeuti per vincere blocchi emotivi che ostacolano le persone a parlare in pubblico. In qualsiasi modo la si veda non bisogna confondere la spigliatezza, che è frutto di estroversione e vivacità, con il vero talento artistico.
Ora parlare velocemente ed avere una buona dialettica aiuta notevolmente per bucare lo schermo, fare polemiche, avere la meglio in una lite televisiva. Ad onor del vero uno può parlare molto velocemente e dire un sacco di fesserie(oppure di banalità) ma ciò non importa più: sono finiti i tempi quando segni di cultura venivano considerati la ponderatezza e la riflessività. Oggi il pubblico televisivo, formato anche da diverse migliaia di analfabeti di ritorno, non sa valutare effettivamente il contenuto, la qualità del discorso, il fatto che un autore parli o meno con cognizione di causa. Pensa istintivamente ed ignorantemente di giudicare chi sa parlare e chi no in base al fatto che un autore dimostri di avere una certa parlantina o meno. In una lite televisiva inoltre vince chi urla di più e riesce a essere più becero e qualunquista. In televisione non c'è tempo per i sottili distinguo e l'esposizione pacata di tutte le argomentazioni.
Eppure un grande scrittore come Italo Calvino dichiarò che lo scrittore non doveva mostrarsi. Non doveva concedersi troppo e doveva essere schivo e riservato. Secondo Calvino erano le opere che dovevano essere messe in primo piano: l'esatto contrario di quello che viene fatto oggi. Più recentemente S. King ha scritto nel suo saggio "On writing" che per fare lo scrittore bisogna principalmente leggere molto e scrivere molto: niente altro che questo. Un tempo erano diversi gli artisti che la pensavano come Calvino e S.King. Oggi sono una rarità. Senza ombra si dubbio ci sono anche autori che non sono affatto presenzialisti nel piccolo schermo e che scrivono bestseller. Questo è dovuto in gran parte al fatto che anche se non sono personaggi nazionalpopolari scrivono comunque dei romanzi nazionalpopolari, che trattano esclusivamente di una delle quattro s(ovvero sangue, sesso, soldi, sentimento). Indipendentemente dalla bravura è pacifico che chi scrive romanzi sperimentali è più svantaggiato ed è destinato a restare un intellettuale di nicchia. Sono mosche bianche coloro che vendono molto e non sono nazionalpopolari o non scrivono libri nazionalpopolari. Ad esempio Andrea De Carlo è una eccezione ma molti intellettuali lo considerano troppo commerciale. Forse l'unico che riusciva ad accontentare pubblico e critica, non apparendo troppo in televisione, era il compianto Umberto Eco. Viene però da chiedersi se l'utilizzo dei social da parte degli scrittori e gli eBook possono essere nuove strade percorribili in futuro. Ci sono già stati romanzi che sono diventati casi letterari e hanno avuto un successo inaspettato grazie al passaparola sui social network.
....Bisogna fregarsene delle guerriglie e delle polemiche sterili. A mio modesto avviso l'importante non è tessere relazioni, far parte di cricche o scuderie. Forse è meglio essere isolati e solitari: ci si guadagna in salute e non si perde tempo. Non si viene feriti interiormente. Importante è sapersi mettere in ascolto di se stessi e degli altri. Per far questo ci vuole una certa disposizione d'animo e tanto silenzio. Conoscere se stessi trascende la logica. Il proprio Sè è sempre sfuggente. Spesso cerchiamo noi stessi e ci sentiamo delle persone lontanissime. Bisogna abitare spesso il silenzio. A mio avviso ci sono due modi essenzialmente per far carriera: far parte di una cricca oppure diventare allievi di un maestro riconosciuto. Non c'è niente di male ad essere artisti di nicchia e poi l'importante è starci bene in questa nicchia benedetta. Se la nicchia è vivibile e dignitosa non c'è assolutamente niente di deprecabile.
...ogni tempo ha i suoi testimoni. Non so se ci siamo involuti rispetto a qualche decennio fa. Forse l'umanità non è mai progredita interiormente. E se chiedeste troppo alla scrittura? Per alcuni è solo un modo come un altro per fare soldi. Forse voi chiedete troppo(sacralità ed assoluto) e questi tipi chiedono solo un obiettivo materiale e gretto.
Per quanto riguarda poi la domanda che si fa spesso un autore(la mia opera è una opera d'arte?) bisogna dire che sono rarità le opere d'arte(che hanno un elevato contenuto di verità): molti libri sono solo prodotti commerciali oppure sono solo un abbozzo di opere d'arte. Io non so mai dire se un libro è una opera d'arte. Non sono un critico. Non sono neanche un postero. Posso solo dire se mi piace oppure no. È già molto comunque se una opera è una valvola di sfogo o un modo di comunicare il suo disagio per l'autore. Nessuno sa il suo destino: figuriamoci il destino delle sue opere! Saranno i posteri probabilmente a stabilire se un libro è una opera d'arte o meno. Io mi astengo quindi dal rispondere a questo tipo di domanda. Talvolta è questione anche di fortuna. Nei Classici Bompiani a proposito della opera omnia di un grande scrittore c'è una parte finale intitolata "Fortuna critica". Ad ogni modo uno se ne deve sbattere della gloria postuma. I posteri potrebbero essere anche molto "dormienti" e non curarsi affatto di letteratura.
Davide Morelli
Scritture critiche: Scrittori e televisione
Reviewed by Ilaria Cino
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febbraio 13, 2020
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