Scritture critiche: sui venti versi del Mahayana


I venti Versi del Mahayana,(in sanscrito, Mahayanavimsaka; in tibetano: Theg pa chenpo nyi shu pa) furono composti dal maestro Nagarjuna. Essi furono tradotti nel Tibetano dal pandita kashmiri Ananda ed il bhikshu traduttore Drakjor Sherab (Grags 'byor shes rab). Sono stati tradotti in Inglese dall' Anagarika Kunzang Tenzin l'ultimo giorno del 1973 nella speranza che il karma di quell'anno potesse essere mitigato.
 Nagarjuna, visse alla fine del secondo secolo dopo Cristo. Secondo una biografia cinese, che ha più una connotazione mitica che reale, egli apparteneva alla casta dei Brahamini ed era un appassionato studioso sia della magia che dei Veda e grazie alla conoscenza delle arti occulte, tentò di rendersi invisibile per poter entrare in un harem, ma qualcosa andò storto e fu scoperto, riuscì a fuggire e dopo questa esperienza si fece monaco buddista. Nagarjuna  sostiene che le cose essendo reciprocamente condizionate, non hanno realtà in sé. Non esiste un soggetto e nemmeno un oggetto. E nessuna cosa ha una esistenza in sé, se non in relazione con un'altra. “La natura di tutte le cose, appare  come un riflesso puro e naturalmente quieto con l’identica natura non duale”.” La mente comune immagina un sé dove non c’è nulla e concepisce stati emozionali – felicità, sofferenza,ed equanimità”. La relazione tra soggetto ed oggetto è stata anche evidenziata, in maniera critica dal filosofo Giorgio Colli nella sua opera: “ Filosofia dell’espressione”. Sostiene il filosofo italiano che:”Negli ultimi secoli si è creduto che prendere d’assalto la cittadella della conoscenza risulti agevole, quando si è capaci di entrare nell’intimo del soggetto, di sviscerare il meccanismo interiore da cui sgorgano le rappresentazioni del mondo esterno, in genere si è psicologizzato la filosofia teoretica.”  Nagarjuna smonta il meccanismo mentale dell’uomo e lo mette di fronte alle illusioni mentali che lui stesso crea. “I sei stati mentali del samsara,la felicità celestiale, le sofferenze infernali,sono tutte false creazioni, immagini della mente”. “Scambiare la fantasia per realtà causa l’esperienza della sofferenza; la mente è avvelenata dalla interpretazione della  coscienza della forma.” “ Come un uomo caduto nelle sabbie mobili si dimena e lotta, così gli esseri pensanti annegano nel caos  dei loro pensieri”. Si tratta, quindi di un criticismo estremo, che sostiene la relatività di ogni pensiero e di ogni essere:ogni cosa non può avere una esistenza reale, il suo essere è puramente apparente, così come nessun concetto è indipendente. Pensare è supporre sempre una relazione, quando il processo dialettico ha sostenuto l’insostenibilità logica di tutto il pensato,quella cessazione, o arresto è il Vuoto, la Vacuità,l’inesprimibile al di là di ogni designazione e  Nagarjuna fa l’esempio fa l’esempio di un malato agli occhi che non sa di vedere che immagina di vedere macchie o punti. Chi non sa  di essere malato prende quelle macchie per vere e reali. Chi sa di essere malato pur non potendo eliminare il difetto, sa che la persona ne è priva e per lei quelle macchie non esistono. Così la vera vista è quella che scopre l’identità estrema oltre tutti i concetti, identità nella quale samsara e buddità si equivalgono; il reale trascende ogni dualità. La Vacuità è il fondamento  di tutto. Essa non è il puro nulla, ma la negazione di ogni categoria mentale, anche la più generale ed astratta, nono si può dire né che esiste e né che non esiste, perché trascende anche il nostro pensiero. Anche Buddha, il Nirvana e le altre categorie sono in sé inesistenti, hanno soltanto un valore strumentale e servono come ideali a cui tendere la nostra azione. Chi crede nella realtà dei fenomeni si irretisce nel ciclo delle rinascite, chi invece si  convince della loro illusorietà, nono si attacca al mondo ed ottiene la liberazione.” Questo grande oceano del samsara, pieno di pensieri ingannevoli, può essere attraversato dalla barca dell’Approccio Universale. Chi può raggiungere l’altra sponda senza di essa?”

Francesco Innella
Scritture critiche: sui venti versi del Mahayana Scritture critiche: sui venti versi del Mahayana Reviewed by Ilaria Cino on settembre 10, 2019 Rating: 5

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